Daniele Deriu
[Pamarte]
Daniele Deriu vive e lavora a Cagliari, la città dove è nato nel marzo del ’68. Inizia presto a scattare foto, grazie al padre che gli regala la prima reflex analogica (una Pentax Super A reflex 35mm).
Appassionato di Storia della Fotografia, scatta per lo più ritratti in bianco e nero, ma non smette mai di sperimentare. Mentre insegna “editoria grafica ed elettronica”, “regole di percezione” e “studio dell’immagine iconografica”, abbandona definitivamente l’analogico per il digitale, dedicandosi a una forma di “pittorialismo” nel tentativo di combinare il reale con l’ideale, e con cui crea i suoi ritratti o le sue figure (sempre femminili).
“Dopo qualche pubblicazione in siti web e piccole riviste di settore, viene notato da un gallerista, che lo porterà a comporre la sua prima esposizione personale a Londra, nel 2012, chiamata “Dystopia”. In nessuna delle 33 immagini è presente lo sguardo del soggetto. Una “consuetudine” che si ripeterà in tutti i suoi lavori futuri. Questa mostra conteneva anche “l’incipit” per il progetto “Scars of life”.”
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Si segnala la sua presenza nel dicembre del 2013 e del 2014, rispettivamente alla seconda e terza edizione del libro di fotografia “Extract from Sensual Photography” edito in Francia da SOPHOTO – Society Of Photography Artist. Nel 2014 espone i ritratti di “illusions perdues” a Toulouse e nella Carré Sainte-Anne di Montpellier. Quello stesso anno partecipa ad una mostra collettiva a Venezia per la AVAPO. Più recentemente, nell’aprile 2015, alcuni dei lavori di “illusions perdues” ed “Everywhen” sono presenti all’Art Expo di New York. Si è invece conclusa a Bangkok, la mostra collettiva internazionale “Eurasia 2015”, alla quale ha partecipato con alcuni ritratti (sempre privi di sguardo).
Nel frattempo, continua a lavorare al progetto “Scars of life” e si ripromette di concluderlo nel 2016. Quest’ultimo fa parte anche di una interessante iniziativa editoriale curata da PostCardCult, che a marzo di quest’anno distribuisce (gratuitamente) in tutta Italia alcune cartoline con le “eroine” della serie.
Ma la prima “vera” esposizione del progetto “Scars of life, series” ha visto la luce durante la manifestazione culturale TrapanInPhoto che si è tenuta dal 25 maggio al 12 giugno 2016. Il pubblico ha potuto osservare ben 22 lavori (dei circa 25 previsti) che sono stati esposti, insieme alle rispettive didascalie, nel Museo di Arte Contemporanea di San Rocco, in questo prestigioso evento patrocinato dall’AICS e dalla FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche).
Qui a “PAMARTE” presenta proprio una parte del progetto “Scars of life”, che lo ha impegnato per circa tre anni. Così come la memoria è la “cicatrice” della vita, le cicatrici sono le nostre memorie e raccontano “storie di vita”. Superficialmente considerate dai più come mere deturpazioni del corpo e della bellezza, in questa serie vorrei mostrarle come i simboli di una lotta che vanno portati con orgoglio.
Racconto storie di donne che affrontano quotidianamente ogni sorta di battaglia personale contro patologie, menomazioni, abusi e persino contro loro stesse. Non è mia intenzione mandare messaggi “consolatori”. Non mi sentirete mai dire che queste donne sono belle “nonostante” le cicatrici o i disagi. Esse possiedono anzi una bellezza che travalica certi modelli, con dei “valori aggiunti” – le storie incise sulla loro pelle – che le rendono uniche, qualcosa da ammirare e persino una fonte d’ispirazione.
Quando si rompe una teiera o un vaso a cui sono affezionati i giapponesi, anziché gettare via tutto, saldano assieme i frammenti con del liquido d’oro. Non si limitano a “riparare”, quindi, ma evidenziano le crepe, le fratture… le impreziosiscono aggiungendo valore all’oggetto. Questa è la visione della serie “Scars of life”. L’oro, simbolicamente presente anche per via della mia “firma cromatica”, è il coraggio, la voglia di riscatto, il fatto di non aver mai mollato. “L’oro” impreziosisce le storie incise sulla pelle, le rende uniche… le rende belle.
Come nella pratica giapponese, questo progetto parte dall’idea che dall’imperfezione di una ferita possa nascere una forma ancora “più alta” di bellezza esteriore e interiore.
Daniele Deriu